Google sta affrontando una causa che, potenzialmente, potrebbe portare l’azienda a rivelare il suo algoritmo segreto.
La società, infatti, ha ricevuto un ultimatum dai tribunali del Regno Unito. Essi hanno chiesto al famoso motore di ricerca di ritirare alcuni documenti difensivi o di divulgare i dettagli del suo algoritmo di ricerca.
La società non solo dovrebbe rivelare i dettagli del suo algoritmo, ma dovrebbe consegnarli a un consulente SEO in grado di analizzarli e spiegarli alla corte.
Google ha due possibilità
Per ovvie ragioni, Google non vuole rivelare alcun dettaglio dei suoi algoritmi.
Tuttavia, la società non vuole neanche ritirare prove che sono fondamentali per aiutare l’azienda a vincere la causa.
A quanto pare, queste sono le uniche due possibilità che il motore di ricerca ha in questo momento.
L’unica altra scelta sarebbe quella di risolvere la causa trovando un accordo tra le parti, cosa che comporterebbe milioni di danni. Per non parlare del fatto che un accordo che vede Google sborsare tanti soldi equivarrebbe ad ammettere di aver fatto qualcosa di sbagliato.
La soluzione migliore, quindi, sembrerebbe essere quella di ritirare le prove difensive e trovare un altro modo di vincere la causa.
Come mai Google si è trovata in questa situazione?
Tutta questa situazione nasce da una causa contro Google da parte di una società chiamata Foundem che risale al 2012.
Il 2012 è l’anno in cui è stata presentata la causa, ma gli eventi reali relativi alla causa risalgono al 2006.
Foundem sostiene di essere stato vittima di pratiche anticoncorrenziali da parte di Google. Secondo le affermazioni di Foundem, Google ha deliberatamente classificato i propri prodotti prima di Foundem nei risultati di ricerca a partire dal 2006.
Foundem, perciò, pretende un risarcimento per la perdita subita a seguito delle ipotetiche azioni di sabotaggio compiute dal motore di ricerca.
Che fine ha fatto Foundem
Foundem era (ed è ancora) un motore di ricerca utile per trovare i prezzi online più bassi.
Inizialmente era disponibile solo per un gruppo limitato di utenti e successivamente è stato reso disponibile a tutti.
Prima di essere disponibile per tutti, Foundem appariva ancora nei risultati di ricerca di Google. Foundem era posizionato anche molto bene nei risultati di ricerca. Esso, infatti, appariva spesso sulla prima pagina per ricerche relative allo shopping.
Appena due giorni dopo essere stato reso disponibile a tutti, Foundem è letteralmente scomparso dai risultati di ricerca di Google.
Foundem è passato dalla prima pagina dei risultati di ricerca a dozzine e, a volte, centinaia di pagine in meno.
La cosa sospetta è che i risultati di ricerca relativi a Foundem sono stati eliminati solo su Google. Il servizio è ancora classificato bene in altri motori di ricerca.
Questo è ciò che ha portato Foundem a pensare che si è trattato di un’azione deliberata atta a reprimere la concorrenza che stavano facendo a Google Shopping.
Perché Google dovrebbe ritirare le sue prove difensive
Nel tentativo di difendersi, Google ha fornito dei documenti riservati all’Alta Corte del Regno Unito.
Questi documenti, curati dagli ingegneri Cody Kwok e Michael Pohl (dipendenti di Google), però, sono troppo complicati per i giudici che gestiscono il caso.
I magistrati, quindi, hanno chiesto al famoso motore di ricerca di consegnare i documenti ad un consulente SEO del tribunale. Facendo ciò, però, i dettagli degli algoritmi del motore di ricerca diventerebbero di dominio pubblico.
L’alternativa, perciò, sarebbe ritirare queste prove difensive e tentare di vincere la causa in un altro modo.
Come finirà
Gli esperti SEO e gli uffici marketing di tutto il mondo, purtroppo, devono tenere basse le speranze.
A parer nostro, infatti, Google non rivelerà mai i dettagli del suo algoritmo. Se lo facesse, le perdite che avrebbe dal punto di vista economico sarebbero immense.
Probabilmente, la società ritirerà le prove difensive e cercherà di utilizzare qualche altra strategia.
Altra possibilità, come detto, sarebbe quella di offrire una compensazione a Foundem e non badare al fatto che ciò sarebbe come ammettere di avere torto.