Facebook e Google, a quanto pare, hanno subito un duro colpo in Australia.
Le due società, infatti, dovranno condividere parte degli introiti e alcuni dati con le compagnie media locali (nello specifico con le compagnie che vendono pubblicità online).
Un caso simile c’è stato recentemente in Francia. Le cose per queste grandi compagnie, quindi, non stanno andando troppo alla grande.
Analizziamo bene tutta la situazione.
Facebook e Google: dati e denaro ai media australiani
Google e Facebook dovranno condividere i dati e le entrate pubblicitarie con le società di media australiane per poter continuare a vendere ads online.
Questa decisione è stata presa dopo i reclami dei media locali circa il fatto che le due grandi aziende hanno praticamente il monopolio sulle pubblicità.
Considerando che le entrate pubblicitarie sono la principale fonte di reddito per i media australiani, si tratta di una questione particolarmente delicata.
Il tesoriere Josh Frydenberg ha affermato che i giornalisti sono pronti a combattere con i due giganti della tecnologia a causa della natura della posta in gioco.
“Comprendiamo la sfida che affronteremo, questa è una grande montagna da scalare.
Abbiamo a che fare con due grandi aziende, ma c’è anche molto in gioco, quindi siamo pronti per questa battaglia”.
Il mercato della pubblicità australiano
Secondo quanto riferito, il mercato pubblicitario online australiano vale quasi $ 9 miliardi di AUD ($ 5,72 miliardi di USD) all’anno ed è cresciuto di oltre otto volte dal 2005.
Per ogni $ 100 AUD spesi in pubblicità online in Australia, quasi un terzo va a Google e Facebook.
Le due società sono state inizialmente invitate a fornire un codice di condotta volontario per affrontare i reclami da parte delle società di media australiane.
Dopo che un codice di condotta non è stato fornito volontariamente, un codice obbligatorio sarà istituito dall’Australian Competition and Consumer Commission (ACCC).
L’ACCC ha tempo fino a luglio per presentare una bozza del codice di condotta obbligatorio, che sarà poi approvato da chi legifera.
Oltre a condividere le entrate pubblicitarie, il codice obbligatorio includerà anche delle regole relative alla condivisione dei dati riguardanti le pubblicità.
Le penalità per Facebook e Google
Saranno stabilite sanzioni per la mancata osservanza del codice di condotta e saranno, inoltre, istituiti meccanismi vincolanti di risoluzione delle controversie.
In una dichiarazione ai giornalisti, l’amministratore delegato di Facebook Australia, Will Easton, ha risposto agli ordini del governo:
“Siamo delusi dall’annuncio del governo, soprattutto perché abbiamo lavorato duramente per rispettare la scadenza concordata.
Abbiamo investito milioni di dollari a livello locale per supportare gli editori australiani attraverso accordi sui contenuti, partnership e formazione per il settore “.
Un portavoce di Google ha rivolto gli ordini del tribunale con la seguente dichiarazione:
“Abbiamo cercato di lavorare in modo costruttivo con l’industria, l’ACCC e il governo per sviluppare un codice di condotta e continueremo dopo il processo istituito oggi dal governo”.
Questa sentenza arriva in un momento in cui la pandemia dovuta al coronavirus ha causato un forte calo della spesa pubblicitaria.
Per alcuni quotidiani in Australia, la quantità di entrate pubblicitarie perse significa che hanno dovuto smettere del tutto di stampare.
Alcune delle più grandi società di media in Australia hanno persino chiesto al personale di accettare una riduzione di stipendio o semplicemente dimettersi.
È improbabile che un codice di condotta obbligatorio risolva tutti questi problemi, ma aiuterà le i media locali a recuperare parte delle loro entrate perse e a livellare il campo di gioco in una certa misura.
Il precedente francese
Alcuni giorni fa, in Francia, una sentenza ha obbligato Google a pagare gli editori francesi.
In particolare, Google è stato costretto a darsi da fare per individuare un equo compenso da pagare a quegli editori che vengono utilizzati come fonti su Google News.
La tendenza dell’ultimo periodo, quindi, è quella di attaccare il monopolio che sono riusciti a costruire queste società nel corso degli anni.
Non sappiamo se ciò sia giusto o meno, ma di sicuro la pandemia dovuta al COVID-19 è tra le cause maggiori dietro tali scelte. La crisi economica che ha scatenato, infatti, ha messo in ginocchio il mercato della pubblicità.