Facebook si trova nel pieno di una campagna di boicottaggio dei suoi annunci.
I grandi brand, a seguito delle proteste contro l’odio razziale negli U.S.A., stanno chiedendo al social network di cambiare la sua policy sui contenuti.
Nel frattempo che la società si mobiliti per modificare le sua policy, i brand hanno deciso di colpirla dove fa più male: al portafoglio.
Facebook: perché i grandi brand stanno boicottando la piattaforma
La recente coalizione di inserzionisti formatasi sotto l’hashtag #StopHateforProfit ha iniziato a mostrare i denti a Faceboo.
Tra gli ultimi a prendere parte a questa iniziativa c’è Unilever, colosso della distribuzione. La società, infatti, ha sospeso tutta la sua spesa pubblicitaria sul social network.
Unilever ha dichiarato:
“Dato il nostro senso di responsabilità e l’atmosfera che c’è negli Stati Uniti, abbiamo deciso che, almeno fino alla fine dell’anno, non faremo pubblicità su Facebook, Instagram e Twitter negli Stati Uniti.
Continuare a fare pubblicità su queste piattaforme, in questo momento, non sarebbe vantaggioso per le persone e per la società”.
Unilever si è unito ad altri importanti che hanno già sospeso le loro spese in pubblicità su queste piattaforme. Tra di essi ci sono Verizon, Hershey e Coca-Cola. Messi insieme, essi rappresentano oltre $ 7 miliardi di entrate pubblicitarie per Facebook.
Perché le aziende stanno boicottando i social network?
Facebook, negli anni, non si è mai dimostrato estraneo alle controversie circa le sue politiche sui contenuti, le campagne elettorali in vari Paesi e la scarsa proattività nel far rispettare le proprie regole.
Questi, probabilmente, sono i principali motivi che hanno portato i brand a boicottare il social network.
Le prime polemiche sono sorte dopo le elezioni U.S.A. del 2016 e da allora non sono mai smesse.
Nel suo sforzo di accontentare tutti, in nome della libertà di parola, Facebook ha messo a disagio molte aziende, proprio quelle che spendono miliardi in pubblicità. Esse, come accaduto su YouTube anni fa, non vogliono essere associate ad una piattaforma che sembra poco trasparente.
Nonostante il social si stia dando da fare per combattere le fake news e l’abuso di visibilità da parte di personaggi discutibili che spendono molti soldi in ads, i brand non sono ancora soddisfatti del modo in cui il social network sta gestendo la situazione.
Come detto, il boicottaggio da parte degli inserzionisti è stato organizzato attraverso l’hashtag #StopHateForProfit. La protesta è gestita da gruppi quali Color of Change, NAACP e il fondatore di Sleeping Giants, Matt Rivitz.
Essi hanno sollecitato gli inserzionisti a fare pressione per richiedere il cambiamento delle policy sui contenuti. La tattica consigliata, come avrete intuito, è stata quella di azzerare la spesa pubblicitaria almeno per luglio.
Il sito web di queste organizzazioni unite contiene un elenco aggiornato delle aziende che hanno azzerato la spesa in ads. Nel sito si trovano anche informazioni molto approfondite sulla protesta.
Facebook subirà danni catastrofici?
Questo dipende dai punti di vista.
Anche se 7 miliardi di dollari sembrano un sacco di soldi, sono pochi rispetto agli oltre 70 miliardi di dollari di entrate pubblicitarie che il social network incassa ogni anno.
Il vero problema qui, probabilmente, riguarda i prezzi delle azioni. Come società pubblica, Mark Zuckerberg ha degli azionisti che stanno osservando attentamente la cosa e sicuramente hanno visto il calo dell’8% del prezzo delle azioni dopo l’annuncio di Unilever.
Se la protesta non rientrerà entro la fine di luglio, i danni potrebbero diventare davvero irreparabili.
Quali sono i vantaggi per gli inserzionisti?
Molti inserzionisti hanno subito iniziato a chiedersi se ciò potesse portare ad un calo dei prezzi degli annunci. La ritirata di molti inserzionisti potrebbe portare ad un calo del CPM. Questa cosa è già accaduta durante le prime settimane di COVID-19, quando la spesa pubblicitaria è diminuita di molto.
Ora che i prezzi sono risaliti ai livelli pre-pandemici, gli inserzionisti sperano che queste proteste possano causare un secondo calo del prezzo degli annunci nel corso dell’estate.
Noi crediamo che queste speranze siano parzialmente vane. I prezzi degli annunci, infatti, sono determinati da molto più del semplice fatto che ora ci sono un sacco di soldi in meno spesi in ads.
Innanzitutto, va tenuto in considerazione il tipo di campagna pubblicitaria che fanno i grandi marchi.
La maggior parte dei grandi brand non sono interessati alle conversioni dirette, quindi non entrano in competizione con i piccoli inserzionisti che vendono su piccoli e-commerce.
I grandi brand vogliono principalmente far sapere della loro presenza, non hanno interesse nel vendere direttamente tramite i loro annunci.
Le campagne di conversione fatte dai piccoli e-commerce, invece, comportano un CPM molto più elevato rispetto a quelle che puntano principalmente a fare brand awareness.
Altro motivo per il quale, secondo noi, queste proteste non andranno ad abbassare il costo degli annunci per i piccoli inserzionisti è che le grandi aziende hanno un target di utenti completamente diverso.
Siccome i prodotti di questi grandi brand sono usati da tanti consumatori, le loro campagne non si rivolgono a delle nicchie precise. Ciò offre una maggiore flessibilità nel targeting, che comporta anche CPM più economici su Facebook.
I piccoli inserzionisti, invece, hanno CPM decisamente più costosi perché hanno dei target più precisi.
Ecco perché, a parer nostro, i prezzi degli ads non subiranno la stessa flessione che hanno sperimentato con la pandemia di COVID-19.
Come si sta muovendo il social network
Venerdì pomeriggio, Zuckerberg ha rilasciato una dichiarazione in cui spiegava alcune modifiche in arrivo riguardanti la policy di gestione dei contenuti.
L’imprenditore ha sottolineato l’implementazione di funzioni quali l’Election Operations Center. Quest’ultimo esaminerà e prenderà provvedimenti rapidamente contro le fake news relative alle votazioni entro 72 ore dalla data delle elezioni.
Inoltre, saranno mostrati link che riconducono all’Election Operations Center sotto qualsiasi post che menzioni le elezioni.
Circa i contenuti che incitano all’odio, la società ha affermato che aggiornerà la sua policy sui contenuti vietando affermazioni secondo le quali persone di una razza, etnia, nazionalità, religione, rango sociale, orientamento sessuale o identità di genere sono una minaccia per la sicurezza, la salute o la sopravvivenza degli altri. La policy sui contenuti, inoltre, verrà aggiornata per proteggere meglio gli immigranti, i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo dalle pubblicità che suggeriscono che questi gruppi sono inferiori o che esprimono disprezzo o disgusto nei loro confronti.
Il social, ha continuato a spiegare Zuckerberg, continuerà a non rimuovere i contenuti che violano le politiche sui contenuti se ritenuti particolarmente degni di nota. In particolare, Facebook ha continuato a difendere la sua posizione secondo la quale la libertà di pensiero nei post è importante, anche se ciò dovesse significare lasciare le cose che dovrebbero essere rimosse.
Nonostante ciò, in futuro, il social segnalerà questi elementi degni di nota come contenuti che violano le norme del social network. In questo modo gli utenti potranno essere più consapevoli circa cosa stanno leggendo.
Teniamo a chiarire che quest’ultima deroga alle regole non verrà applicata ai contenuti che incitano alla violenza o che tentano di influenzare l’affluenza alle urne. Qualsiasi contenuto con tale obiettivo non verrà mostrato.
Zuckerberg ha dichiarato:
“Sono ottimista sul fatto che possiamo fare progressi in materia di salute pubblica e giustizia razziale mantenendo le nostre tradizioni democratiche sulla libertà di espressione e sul voto. Mi impegno a fare in modo che Facebook sia in prima fila in questa battaglia”.